Un problema aperto
Quando si ricercano le origini del franchising, una delle ricostruzioni proposte mette in evidenza l’idea del privilegio, concesso da un imprenditore ad altro soggetto, di far uso dei propri segni distintivi per commercializzare beni o servizi, chiaramente dietro corrispettivo.
L’evoluzione dei tempi e degli obblighi imposti dalle normative nel frattempo emanate, primo fra tutti quello della preventiva sperimentazione della formula commerciale, hanno confermato almeno in parte quell’idea di fondo, secondo cui nel franchising si permette ad altri di sfruttare economicamente un insieme di elementi caratterizzati da un certo valore. Quel valore, frutto di esperienza e tecnica, viene addirittura remunerato solitamente attraverso una fee di ingresso e una royalty periodica.
Verrebbe a questo punto spontaneo definire le reti di franchising come una qualche sorta di “club”, i cui partecipanti condividono un insieme di metodi, valori e tecniche operative, capaci di sfidare il mercato e di creare un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.
Quanto più il club è esclusivo, quindi, tanto più parrebbe significativo quel valore.
Se si riflette a questo punto sul concetto di esclusiva territoriale, ci si accorge facilmente che il principio ispiratore è lo stesso dell’”esclusività” alla quale si è fatto cenno: il senso è pur sempre quello di “escludere” altri da un ambito nel quale poter esercitare una qualche forma di potere, influenza o controllo.
Ad avviso di chi scrive, queste considerazioni, anche se non assumono un decisivo valore giuridico, fanno parte di una sorta di coscienza collettiva riguardo al franchising, che offre un quadro abbastanza chiaro di che cosa gli operatori possano tendenzialmente aspettarsi da questa forma di collaborazione tra imprenditori.
Fatta questa premessa, si pone allora inevitabilmente una domanda. Come si concilia questa visione con la previsione della legge 129 del 2004 che all’art. 3, comma 4, lett. c) definisce testualmente l’esclusiva territoriale come solo “eventuale”?
Altri elementi possono aiutare a fare un po’ di chiarezza.
Rete, buona fede e ruolo del franchisor
E’ affermazione ricorrente che il franchising rappresenta una forma di collaborazione tra imprenditori, nella quale i soggetti coinvolti sono sì indipendenti, in quanto giuridicamente distinti e gravati ciascuno dal proprio rischio di impresa, ma al tempo stesso chiamati ad operare in modo coordinato. Quando, poi, gli affiliati sono più di uno, si supera in modo evidente la logica del semplice scambio (do ut des), perché emerge una nuova realtà: la rete. Concetto in apparenza evanescente ma in realtà ricco di sostanza da un punto di vista economico e commerciale.
Questo valore viene chiaramente espresso dall’art. 1 della legge 129/04, che pone l’obbligo a carico del franchisor di inserire l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio.
L’utilizzo della parola “sistema” non è privo di significato, perché l’elemento che distingue, appunto, un sistema da un mero insieme indiscriminato è rappresentato dalle regole che lo governano ed è evidente che queste regole dovranno pur essere previste da qualcuno e, se necessario, fatte rispettare.
L’accenno compiuto poi dalla norma agli affiliati “distribuiti sul territorio” offre addirittura qualche spunto in più, in quanto lega la collocazione geografica dei diversi affiliati proprio al sistema e, così, alle regole che lo costituiscono.
Il quadro si arricchisce di ulteriori elementi. La stessa lettera c) dell’art. 3 precisa, infatti, che l’ambito di eventuale esclusiva territoriale, se previsto, deve essere definito in relazione sia ad altri affiliati sia ad altri canali o unità di vendita gestiti direttamente dall’affiliante.
La norma dovrà essere ripresa con riferimento all’eventuale esercizio del commercio elettronico da parte dell’affiliante, cui si farà qualche cenno nel successivo paragrafo; per il momento, la stessa può essere letta come una sorta di rafforzativo di quel concetto di sistema, considerando la concorrenza intrabrand e la multicanalità come fenomeni che non possono essere lasciati al caso ed il cui governo costituisce compito e responsabilità dell’affiliante.
E’ quindi possibile raggiungere una prima parziale conclusione: l’esclusiva territoriale rappresenta un elemento solo eventuale, e dunque non necessario, del contratto di franchising; tuttavia, la distribuzione sul territorio degli affiliati deve rispondere a delle regole la cui definizione spetta al franchisor e che devono essere esplicitate tanto nel contratto quanto nella documentazione precontrattuale esibita al potenziale affiliato.
Il punto ora è capire quale possa essere un buon criterio, giuridicamente valido, per stabilire quelle regole.
Sul punto vengono in aiuto tanto i principi generali del codice civile quanto la giurisprudenza.
Sotto il primo aspetto va ricordato l’obbligo che l’art. 1375 c.c. pone a carico delle parti di qualsiasi contratto di darvi esecuzione secondo buona fede, la stessa buona fede che viene a più riprese enunciata nella legge 129. Il punto è chiarire il significato di questa espressione e, soprattutto, individuarne un contenuto operativo.
Ebbene, il concetto di buona fede ha una dimensione oggettiva. Comportarsi secondo buona fede significa agire in modo da tutelare fino ad un certo punto anche l’interesse della controparte nel contratto.
E’ evidente, quindi, che la distribuzione sul territorio degli affiliati, pure in assenza di clausola di esclusiva, dovrà tener conto, secondo buona fede, dell’interesse che oggettivamente il franchisee ha nel contratto di franchising, tenendo conto del fatto che, come ha osservato di recente la giurisprudenza, nel contratto di franchising è centrale l’elemento della collaborazione: in esso convivono, da una parte, l’interesse del franchisor ad aumentare la propria redditività e, dall’altra, quello del franchisee di diminuire il proprio rischio di impresa, affidandosi a chi detiene una formula commerciale collaudata. Va da sé, quindi, che una politica di aperture indiscriminate concentrate in zone particolarmente ristrette potrebbe, valutate tutte le circostanze, essere considerata non conforme al principio.
In definitiva, sarà necessario verificare con attenzione le clausole del contratto di franchising e le informazioni fornite in sede precontrattuale all’affiliato – avendo cura di assicurare anche il rispetto della consegna preventiva del contratto almeno trenta giorni prima della sua sottoscrizione – per poi valutare caso per caso se una determinata politica di distribuzione territoriale possa o no considerarsi conforme agli standard descritti.
Esclusiva territoriale e commercio elettronico
Sembrano due entità appartenenti a dimensioni parallele: delimitazione territoriale e assenza di confini. Come valutare la difficile convivenza tra una clausola che attribuisce l’esclusiva territoriale all’affiliato e l’esercizio del commercio elettronico da parte dell’affiliante o degli altri affiliati?
La questione non può essere semplificata oltre un certo limite e meriterebbe altro genere di approfondimento, tuttavia, possono esprimersi alcune considerazioni.
In primo luogo, è oggettivo che l’esercizio del commercio elettronico, potendo intercettare clientela situata in territori lontani e, in ipotesi, proprio nell’area di esclusiva di un affiliato, sia in grado di determinare una riduzione di quella stessa protezione territoriale.
Va anche evidenziato, e veniamo alla seconda considerazione, che pare vi sia una notevole differenza tra l’esercizio dell’e-commerce da parte dello stesso affiliante o da parte di un altro affiliato.
In quest’ultimo caso, infatti, intervengono aspetti non solo strettamente civilistici ma anche connessi al diritto della concorrenza (antitrust) e alla natura del commercio elettronico. Quest’ultimo viene tradizionalmente inteso come una forma di vendita passiva, vale a dire la risposta a ordini non sollecitati dei clienti (sempre che non ricorrano alcune condizioni); come tale, esso gode di protezione generalizzata per il diritto antitrust, essendo tendenzialmente colpite da nullità, e così illecite, le clausole volte ad impedirlo. In linea generale, quindi, salvo che non ricorrano casi particolari, dovrebbe ritenersi nulla una clausola che vieti all’affiliato di esercitare il commercio elettronico.
Da questa premessa deriva che, non potendo essere vietato in via generale agli affiliati l’esercizio delle vendite on line, sarà difficile sostenere che in questo caso l’affiliante abbia violato l’esclusiva territoriale concessa all’affiliato perché ha permesso o non impedito tale pratica. Sarà in ogni caso necessario che ogni franchisor adotti precise strategie al riguardo, per far sì che l’e-commerce rappresenti un’ulteriore opportunità di profitto per gli affiliati e non un terreno di scontro.
Quanto, infine, all’esercizio dell’e-commerce da parte dello stesso affiliante direttamente, la citata previsione dell’art. 3 della legge 129 circa i canali di vendita gestiti direttamente dall’affiliante evidenzia la necessità di chiare previsioni contrattuali sul punto e, soprattutto, di efficienti meccanismi di eventuale riequilibrio.
Via libera
L’esclusiva territoriale rappresenta un elemento solo eventuale, e dunque non necessario, del contratto di franchising.
Pericolo
La distribuzione sul territorio degli affiliati deve rispondere a regole la cui definizione spetta al franchisor e che devono essere esplicitate tanto nel contratto quanto nella documentazione precontrattuale esibita al potenziale affiliato.
Via libera
Le parti del contratto devono comportarsi secondo buona fede. Così, la distribuzione sul territorio degli affiliati, anche in assenza di clausola di esclusiva, dovrà tener conto, secondo buona fede, dell’interesse che oggettivamente il franchisee ha nel contratto di franchising.
Pericolo
Una politica di aperture indiscriminate concentrate in zone particolarmente ristrette potrebbe, valutate tutte le circostanze, essere considerata non conforme al principio. E’ necessario verificare con attenzione le clausole del contratto di franchising e le informazioni fornite in sede precontrattuale all’affiliato e valutare se una determinata politica di distribuzione territoriale possa o no considerarsi conforme agli standard descritti.
Via libera
L’e-commerce rappresenta una grande opportunità per le reti di franchising e un fattore di potenziale crescita.
Pericolo
Salvo che non ricorrano casi particolari, dovrebbe ritenersi nulla una clausola che vieti all’affiliato di esercitare il commercio elettronico.