Riassumere gli errori più comuni in un contratto di franchising può tradursi forse in un’eccessiva semplificazione. Si tratta, infatti, di un contratto complesso, che presenta risvolti di natura non solo di carattere puramente “contrattuale-civilistico” ma anche connessi alla tutela della proprietà industriale e intellettuale e al diritto antitrust.
E’ possibile, però, evidenziare alcune situazioni che più tipicamente di altre si verificano nella prassi e rispetto alle quali, poi, è frequente dover intervenire, modificando il contratto.
Alcune di queste riguardano la stesura vera e propria delle clausole, altre hanno a che fare con l’impostazione, con la struttura del contratto, precisando fin da subito che le osservazioni che seguono si riferiscono a contratti il più delle volte autoprodotti o scritti da chi non possiede le necessarie competenze legali.
- Equilibrio vs Squilibrio contrattuale
Spesso capita di sentir parlare di “contratti blindati”. Con questa espressione si cerca di fare in genere riferimento ad un contratto che non consenta “scappatoie” alla controparte. Su questo aspetto, però, occorre intendersi.
Un contratto deve essere in primo luogo giuridicamente valido ed efficace: molto spesso si leggono clausole che hanno la pretesa di essere blindate ma che, in realtà, sono semplicemente nulle e che hanno ben poca speranza di resistere al vaglio giudiziale (il che capita il più delle volte, ad esempio, con clausole di manleva o esclusione della responsabilità mal strutturate oppure con patti di non concorrenza di estensione territoriale e temporale abnorme). Un contratto nullo o una clausola nulla non possono certo definirsi blindati.
E’ molto meglio cercare un contratto tutelante, cioè il contratto valido ed efficace che permetta non solo di far valere le proprie ragioni ma che sia anche uno strumento capace di resistere nel tempo in quanto “buon prodotto” e che consenta di gestire eventi futuri e imprevedibili.
In una parola, un contratto tanto rigoroso quanto equilibrato. Difficilmente un contratto squilibrato resiste alla prova del tempo e di certo non garantisce la vittoria in tribunale, tanti sono i criteri che avvocati e giudici hanno a disposizione per valutare la conformità alla legge di clausole e comportamenti.
- Il Marchio: non registrato o mal registrato
Spesso ci si trova di fronte ad un’impresa che ad una prima analisi parrebbe avere tutte le carte in regola per una proficua replica del format secondo il modello del franchising: formula commerciale vincente, ottino servizio, rapporto qualità prezzo, layout accattivante … Quando si passa al marchio di impresa, però, si possono verificare alcuni imprevisti. Si assiste a situazioni in cui i) il marchio non è registrato, ii) la registrazione non copre tutte le classi di prodotti o servizi necessarie, iii) è registrato in un modo diverso dal modo in cui è effettivamente utilizzato e rappresentato (circostanza che incide notevolmente se il marchio deve fungere anche da insegna).
Il marchio è un elemento centrale della formula commerciale e ad esso vanno dedicate tutte le necessarie attenzioni, anche considerando che la legge 129 del 2004 richiede che siano indicati gli estremi di registrazione. In verità, poi, la norma fa anche riferimento agli estremi dell’eventuale licenza, previsione che apre un differente scenario. In alcuni casi, infatti, per le più differenti ragioni il marchio è di proprietà di un soggetto, persona fisica o giuridica, diverso dall’affiliante, che lo utilizza in licenza. Spesso, inoltre, questa licenza non è regolata da un accordo scritto e trascritto presso i competenti uffici. Questa situazione può creare notevoli problemi nel caso in cui si debbano far valere in giudizio pretese o diritti relativi ad eventuali usi indebiti del marchio, soprattutto da parte di ex affiliati.
- Il know-how, questo sconosciuto
Il contratto di franchising deve parlare e, soprattutto, deve parlare chiaro. Quanto al know-how, la legge 129 del 2004 prevede che nel contrato sia indicata la “specifica” del know-how, che a sua volta è definito come quell’insieme di conoscenze di carattere segreto, sostanziale e individuato.
A parte il requisito della segretezza (che purtroppo è un requisito che troppo spesso si dà per scontato ma che, in realtà, è altrettanto spesso mancante), i caratteri “sostanziale” e “individuato” implicano che queste conoscenze siano indispensabili all’affiliato per l’esercizio dell’attività oggetto del contratto e che siano descritte in modo sufficientemente esauriente da permettere all’affiliato di verificare che siano effettivamente segrete e, appunto, indispensabili. Se il know-how, altro pilastro del sistema del franchising, non è descritto nel contratto, se l’affiliato non ha avuto la possibilità di valutare, leggendo il contratto almeno trenta giorni prima della sua sottoscrizione, che cosa questo know-how gli permetterà di fare e per quale ragione riceverà da esso un vantaggio competitivo, a parere di chi scrive il contratto e tutto il rapporto contrattuale sono a rischio. Basti sul punto considerare che molte clausole che di fatto limitano la libertà contrattuale dell’affiliato (come ad esempio l’obbligo di non fare concorrenza) sono valide in quanto necessarie a tutelare il know-how.
- Assistenza e processi
Nella formula commerciale dovrebbero essere ricompresi anche i servizi di assistenza che l’affiliante erogherà nei confronti dell’affiliato. Ma che cos’è l’assistenza e, soprattutto, che cosa riguarda?
A parere di chi scrive l’assistenza è un servizio che riguarda il know-how o comunque la formula commerciale. Se il presupposto è che l’affiliato è o potrebbe essere un imprenditore anche alle prime armi e che il franchising rappresenta una soluzione per mitigare il rischio di insuccesso dell’impresa, allora è evidente che dal contratto (e nella realtà dei comportamenti) deve emergere un ruolo del franchisor attivo in quest’ambito. Il franchisor deve essere “al servizio” degli affiliati, deve essere una guida, soprattutto nei momenti di difficoltà. Capita a volte di assistere a “idee” di franchising che, per chi sa leggere tra le righe, si concentrano solo sul rapporto economico dare-avere, ma che sono prive dello spirito della collaborazione.
La “prova del nove” è presto fornita. Si chieda ad un candidato affiliante chi si occuperà dell’assistenza agli affiliati e quali sono i ruoli interni a questo riguardo, se esiste un organigramma o una gerarchia per fornire le risposte, se è prevista una modalità di attivazione dell’assistenza, se esistono dei processi. Dalla risposta sarà possibile trarre le debite conclusioni.
- Il contratto autoprodotto
Le questioni tecniche nelle quali è possibile imbattersi nella stesura di qualunque contratto, in special modo se complesso come quello di franchising, sono talmente numerose da rendere praticamente impossibile il contratto fai da te. I corretti richiami delle clausole vessatorie, l’utilizzo e la differenza di utilizzo di clausole risolutive espresse o condizioni risolutive, la disciplina in materia di clausola penale sono solo alcuni dei “tecnicismi” che per essere affrontati richiedono competenza legale. Per non parlare del difficile equilibrio tra la fase precontrattuale (che richiede la consegna di documenti e informazioni scritte, oltre alla copia completa del contratto) e quella propria dell’accordo. Il primo e più grande errore che può essere commesso è quindi realizzare un contratto di franchising “autoptodotto”. Se si considera che si tratta di un prodotto destinato a durare nel tempo e, pertanto, non consiste in una semplice operazione che si risolve in un istante, la prudenza e la diligenza di un buon amministratore consigliano che il lavoro sia svolto da professionisti che prestino assistenza.